1988 Elelisphatos

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Elelisphatos

ELELISPHATOS
È il silenzio atemporale, il deserto cromatico, l’inafferrabile sfinge crittografia a captare il movimento arcano e elusivo di Elelisphatos. Come strale di luce proveniente da distanze cosmiche, il tratto affiora e spezza la costanza materica del fino nero e un inseguirsi arbitrario, forse ludico, di tracce e indizi e segni di libertà danza intorno alle dodici Tavole presentate nel libro. Solo a prima vista indomabile e inattendibile, il ritmo di geroglifici e arabeschi in corsa verso un inviolato luogo di corrispondenze, misura l’ordine segreto di questo atlante dell’immagine e della memoria nell’ascendenza prevalente del Mito e delle Costellazioni Celesti.

[read]Ed è proprio allo Zodiaco che approda, per ripartire verso altri infiniti, l’orizzonte creativo di Ferruccio Ascari, in un rapsodico ritorno di citazioni all’oggettività, alla materia, alla fisicità del segno espresso e della sua ambiguità interpretativa che chiama in soccorso il significato sonoro/concettuale di parole-simbolo. Nomi di antica pregnanza: amethistus, amagallis, myrtus, peristerion, ibis, lapis… Di moderna certezza.
Scorrere le pagine di questo libro equivale ad entrare in un «altro spazio». Questo spazio «altro» rispetto a quello in cui siamo e scorriamo con le nostre dimensioni e con il nostro peso corporeo è lo spazio del libro.
Entrare nel libro equivale ad entrare nel regno delle 12 immagini. Abbandonarsi alle immagini, farsi guidare da esse significa entrare in uno spazio estraneo operando rispetto al mondo ed alla realtà una conversione fondamentale.
Il libro e silenzioso e non poteva essere diversamente: non ci possono essere parole estranee che accompagnino le 12 immagini, che entrino nel loro regno autosufficiente e quelle di chi scrive, giustamente, sono fuori dal libro in un altro luogo.
Rispettare il silenzio di queste immagini significa comprendere la loro natura intima ed osservate nel contempo quella condizione senza il rispetto della quale ad esse non c’è accesso.
Il silenzio delle immagini non esclude in ogni caso le parole: accoglie tuttavia solo quelle che fanno parte del «testo» dell’immagine stessa che è testo polisemico per antonomasia.
Le parole che compaiono nel libro violano il silenzio della pagina bianca dalla quale, per incanto, sembrano emergere: esse vivono al riparo della luce definitoria del discorso e non lo fondano.
Le parole, qui, nominano le cose – animali, vegetali, minerali, ossia il mondo – secondo una ossessione classificatoria che non costituisce un ordine.
Sciolte dal discorso le parole del libro vivono una relazione di tipo metonimico con le immagini in un perenne scambio di piani che costituisce, nel contempo, l’ordine segreto del libro che, una volta intuito, ci permette di entrare nelle sue pagine e di attraversarle cogliendo la « legge » che, arbitraria come in ogni gioco, lo governa e insieme lo costituisce. Di questo gioco, la cui regola fondativa volutamente non è esplicitata dall’autore, sono parte i segni neri su campo bianco che con un movimento quasi repentino, sorta di singolari crittografie, attraversano la pagina.
L’integrità del testo è andata persa e, come in un enigma, si chiede a chi guarda di riconquistarla attraverso la paziente raccolta di indizi che ad essa alludono.
Dodici sono le immagini numerate presenti nel libro: dodici come i mesi dell’anno, dodici come i mesi dello Zodiaco, dodici come i frutti dell’albero della vita, dodici come le tribù del popolo d’Israele, dodici come i discepoli di Gesù, dodici come le stelle di cui è fatta la corona della donna dell’Apocalisse e così via Allo Zodiaco come simbolo per se stesso e come insieme di simboli particolari, queste dodici immagini sono in qualche modo collegate: ma allo Zodiaco qui ci si riferisce, più che altro, come al luogo delle corrispondenze dove, in una fuga all’infinito, qualcosa sta al posto di qualcos’altro: ciò che importa è il continuo spostamento ed il collegamento tra l’elemento terrestre e quello celeste. È come, tuttaivia, se la rete di significazioni che da esse si diparte non potesse ancora esaurirle; permane sempre, una specie di nucleo irriducibile che ci parla dell’insondabilità dell’immagine: tra le immagini e le significazioni c’è infatti una differenza essenziale, una differenza di natura.
Sotto il nostro sguardo, le dodici immagini si snodano lungo le pagine del libro tendendo a diventare puro ritmo: ed è attraverso il ritmo, divenendo un ritmo unico, che esse si manifestano come una presenza, come un avvenimento.
Questa è la natura della relazione che esse intrattengono col tempo: avvengono nel tempo ma, attraverso di esse, nel tempo che è il nostro, che è quello delle cose del mondo, è un altro tempo che si fa avanti, che avviene.
Ed è Proprio in questo avvenimento di ciò che è assolutamente altro dal mondo degli esseri e delle cose che già esistono, è proprio in questo avvenimento di un tempo che è assolutamente «altro » dal tempo in cui siamo, che noi avvertiamo la presenza dell’opera d’arte ed il suo manifestarsi come un soffio di vento, un canto che produce spaesamento e ci conduce altrove.
Un segno di luce fa emergere da un nero fondo e vellutato dodici figure che vengono da una lontananza che non è solo quella della « tradizione », cui pure fanno riferimento: si tratta di una lontananza essenziale o, meglio, è proprio la lontananza che attraverso di essa parla, trova voce.
Di esse l’autore dice che sono corpi che portano segni, ne sono attraversati, segni di una topografia «corporale » e insieme «sottile», «Atlante anatomico» e insieme mappa dall’altro mondo.
Prendono forma sotto il nostro sguardo eppure non sono qui.
Esse «sono», ma non appartengono al nostro mondo.
Significano in virtù della somiglianza qualcosa d’altro, di «assente»; e poiché la somiglianza significa lo stesso, ma sotto la specie dell’«altro», esse invocano un «altro» sempre inafferrabile.
La loro essenza si trova dunque in questa alterità, ed anche per questo non hanno niente a che fare col senso, col significato così come lo implica l’esistenza del mondo. La fascinazione che da esse promana e cui è soggetto chi le
guarda ed al loro sguardo si espone deriva da una perturbazione che sconvolge una realtà ben strutturata: sguardo che comprende in un unico movimento paradossale l’immagine e l’oggetto, lo spazio dell’impossibilità e il mondo della possibilità.
Le dodici tavole presenti nel libro e il libro stesso tracciano tuttavia un cammino: la natura di questo cammino è di non finire mai poiché la meta è l’inattingibile. Per questo, forse, le dodici immagini che qui vediamo ritornano, sotto la specie della somiglianza, in un’altra opera cui l’artista sta lavorando: dodici grandi stele di cristallo si elevano da terra verso il cielo, in luogo della carta il vetro, in luogo della opacità la trasparenza; le dodici immagini nel loro cammino hanno dunque assunto un’altra forma: graffite sul colore nero sono ora corpi segnati dalla trasparenza dei contorni e dall’opacità del nero, un nero inconcepibile senza pensare alla luce che attraversa il cristallo.
qui l’elemento corporale, materico si coniuga, nella concretezza dell’opera a quello celeste a cui allude la natura del vetro per il suo essere materia pervenuta allo stato di trasparenza, attraversabile dalla luce.
Sorta di costellazione mobile, le dodici immagini del libro si sono spostate, nel loro peregrinare hanno visitato altri luoghi, si sono depositate su altri materiali. Esse sono dunque frammento di un testo più ampio che è l’opera stessa dell’artista nel suo complesso.
Nel suo impossibile tentativo di coincidere con qualche supremo modello che non ha luogo come alcun oggetto esistente, l’opera è in cammino o meglio l’opera consiste in questo infinito cammino che è il suo continuo ricominciare.
Daniela Cristadoro[/read]

Elelisphatos. Edizione di 12 incisioni su linoleum, editore: Alessandro Bagnati, stampatore: Giorgio Upiglio, linoleum 60×120 cm – carta 70×215 cm, 12 stampe numerate, 9 prove d’artista, 1988 [GR0001]


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